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Poeti e Vallombrosa

Varie, importanti, sono le ragioni che hanno fatto di Vallombrosa una fra le maggiori stazioni climatiche montane d’Italia.

La sua storia consacrata attraverso i secoli, la sua ubicazione, il suo clima, i suoi ricordi religiosi, un tesoro inestimabile di bellezze naturali, la sua aria benefica, tutto ciò la rese degna di essere scelta da John Milton per la composizione del suo poema “ Il Paradiso perduto”. 

Nato a Londra nel 1608 che dopo aver studiato in Inghilterra ed in Francia, venne in Italia per completare la sua cultura umanistica.

Frequentò a Firenze l’Accademia degli Svogliati, prendendo contatto con i poeti toscani.

Fu una gita, consigliata da un amico, a Vallombrosa, che il sommo poeta conobbe per la prima volta questa località.

Fu un “colpo di fulmine”, il poeta ne rimase entusiasta.

Il silenzio maestoso delle grandi abetine, il misticismo del Paradisino, dove ottenne la possibilità di un soggiorno, furono sufficienti a farlo rimanere per lungo tempo.

E fu proprio qui a Vallombrosa che John Milton iniziò il suo più grande capolavoro “Il Paradiso perduto”.

Nel 1925, nel contesto di una serie di iniziative finalizzate al rilancio della stazione climatica, l’Ente per le attività toscane e due comitati, uno di Vallombrosa e uno di Firenze, decisero di posare una lapide, da porsi su una parete esterna del cosiddetto Paradisino, l’iscrizione dice:

 

“Nel 1638

 qui dimorò

il sommo poeta inglese

Giovanni Milton

studioso dei nostri classici

devoto alla nostra civiltà

innamorato

di questa foresta e di questo cielo”

 

 Una zona meravigliosa quale Vallombrosa, non poteva altro che provocare appassionate prose o alate poesie che oggi leggiamo in Milton, nell’Ariosto, nella Barrett Browinig, nello Story, o nelle accurate descrizioni del Beni, del Puccioni, del Soldani o del Domenichini.

Questa Vallombrosa luogo ideale, immaginario, cristallizzato nella musicalità del suo nome, cantò Ludovico Ariosto in alcuni versi del suo “Orlando furioso”, scrivendo di una badia immaginaria

 

Vallombrosa

così fu nominata una badia

ricca e bella, ne men religiosa

e cortese a chiunque vi venia….

   Orlando furioso. XXIII. 36.

  

Vallombrosa, “ha ispirato e avea veduto nella sua santità” la penna di Gabriele D’Annunzio frequentatore dal 1908, che ha inciso con tratti brevi nella “Laus Vitae” “intorno all’aspetto che il colle assume veduto in lontananza”:

  

….la Vallombrosa remota

è tutta di violette

divine, apparita in un valco

che tra due colli s’insena

ah si dolce alla vista

che tiepido pare e segreto

come l’inguine della Donna

terrestra qui forse dormente,

onde quest’anelito esala

 

Gabriele D’Annunzio ammirò molto, le bellezze del Pratomagno e  le volle eternare nell’ Alcione con i suoi versi inneggianti a questo luogo.

 

Pace hanno tutti i gioghi:

si fa più dolce il lungo

dorso di Pratomagno,

come se blandimento

d’amica man lo induca e sopor lento.

Su i pianori selvosi

ardon le carbonaie,

solenni fuochi in vista.

L’Arno luce fra i pioppi.

Stormire grande ad ogni

soffio, vince il corale

ploro dei flauti alati

che la gramigna nasconde.

E non s’ode altra voce.

Dai monti l’acqua scorre a questa foce

 

Laudi. L.III. Alcione, Gabriele D’Annunzio